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FUORI delle RIGHE

un tale

 

Marco 10, 17-22

L’incontro con “un tale” (*)

 

17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.
19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». 20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». 22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

stava per rimettersi in cammino, quando un tale gli corse incontro (17)

Accogliere significa vivere l’esperienza dell’incontro di due storie, di due strade. Colui che viene “accolto” si presenta con la sua memoria, la sua sensibilità, le sue convinzioni, le sue gioie, le sue sofferenze. Lo stesso vale per colui che accoglie. La presenza in uno stesso luogo non è un atto disincarnato. Converseranno dunque due esseri “originali”. Come si intenderanno?  Molto al di là di questa dimensione interpersonale, è tutto un “mondo”, tutta una complessa “realtà”, e tutta una Chiesa locale e universale ad essere significata in quei momenti di dialogo. L’argomento dell’ incontro sarà più o meno importante, ma non resta meno vero che si inscrive “all’incrocio di due strade”.
In questo Vangelo leggiamo che l’uomo “gli corse incontro”: la persona che incontriamo non viene “per niente”, anche al di là delle apparenze. La povertà o la rozzezza del discorso sono una cosa. Ma dietro l’imperizia delle parole, vi è un essere umano che abbiamo voluto incontrare o che la provvidenza ha messo sulla nostra strada.

Gesù fissò il suo sguardo su di lui (21)

In San Marco si scopre il grandissimo interesse di Gesù per la persona incontrata. Si vorrebbe dire: non conta più se non questo “tale”! Gesù pressato, come raccontano i vangeli, da tante persone, riesce a darsi totalmente al dialogo intavolato con uno solo.
Quest’osservazione è essenziale per il servizio dell’accoglienza pastorale. Noi non siamo sicuramente il Cristo! Ma coltiviamo (almeno un po’) questa necessaria concentrazione nell’ascoltare l’altro? Sapremo accoglierlo per se stesso e non in modo distratto o stereotipato? L’accoglienza  è  uno “spazio”, è un “tempo” in cui ciascuno può esprimere quanto ha di più specifico.
Io sono convinto che il “complimento” più suggestivo che una persona possa rivolgere sul modo di comportarsi di colui che accoglie stia in queste affermazioni: “Qui si è bene accolti! Veniamo riconosciuti! Ci si parla un linguaggio che ci dice qualcosa! Si è presi sul serio…”.

Egli lo amò

San Marco non si serve soltanto di una figura stilistica. È l’atteggiamento globale di colui che accoglie ad essere evidenziato. La precedente osservazione sulla necessità di prestare attenzione alle persone è vana se manca l’amore che rigenera la volontà di accogliere. Il pericolo potrebbe essere quello dell’introspezione o dell’indiscrezione inopportune. Amare la persona non è cosa ovvia. Cristo del resto non dà un orientamento qualsiasi a quest’ascolto affettuoso, lo vedremo fra un istante. Ma amare “cambia tutto il colore”, tutta la tonalità del colloquio. Accogliere non è dare una risposta a tutto, ma la parola, l’atteggiamento, la disponibilità manifestano che l’altro degno di stima, di amore. Cosa diremo dopo l’incontro? “come siamo stati formali!” o invece: “come abbiamo dato importanza alla vita. Come ci amiamo!”?

Gesù gli disse: “Una cosa sola ti manca”

San Marco rivela che lo sguardo affettuoso di Gesù è anche uno sguardo chiaroveggente. Cristo va all’essenziale. Egli sgombra il discorso da inutili pesantezze. L’accoglienza seria chiede un orecchio (occhio…) affinato per cogliere poco per volta la “sola cosa” che interessa. Capire può richiedere un tempo notevole! Accogliere è esercitare la pazienza di comprendere chiaramente ciò che l’altro desidera comunicarci oltre il manifestamente detto.

Poi: “Vieni e seguimi”

Gesù conclude il suo discorso con quest’invito a seguirlo. L’accoglienza può dunque avere una dimensione missionaria? Sicuramente, tutta la  Scrittura invita a fare buona accoglienza (2 Maccabei 13,24; Giovanni 4,45).
Se Gesù, in San Matteo 10,40 dice “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato”, l’accoglienza acquista un valore più ampio di quello di un semplice gesto di ospitalità; significa attenzione e sottomissione alla parola degli inviati di Gesù”.
“I cristiani sanno che nell’ospite  che accolgono o respingono è il Cristo ad essere accolto o respinto. Perciò Pietro e Paolo esortano a esercitare premurosamente l’ospitalità” (Pierre de Beaumont). Attuare una buona accoglienza pastorale significa dunque entrare in questa lunga tradizione veterotestamentaria e poi evangelica. Certo, l’accoglienza raramente esige in concreto una completa ospitalità. Ma il modo moderno, per quanto breve, di manifestare che qualcuno è “a casa sua”, non perde per questo la sua importanza. C’è un modo di procedere più missionario di quello di vivere ciò che l’apostolo Paolo chiama “accogliere nel Signore con piena gioia” (Filippesi 2,29)?

  (*) Scheda di Lavoro al Convegno Nazionale di Pastorale per i fieranti e circensi - Reggio Calabria 2007